cambiare lavoro

Eccoci all’ultimo episodio della storia di A. Per ora…

A. racconta. E fa subito una premessa. Anche nel nuovo lavoro NON si sta trovando molto bene. Ma non volendo sembrare preziosa, sottolinea che stavolta il problema non è il lavoro in sé, com’era stato con l’impiego precedente (Ep. 2) – che anzi a suo parere è molto interessante. Quanto piuttosto una “questione ambientale” e organizzativa relativa al posto dove si svolge.

Quando la realtà prende subito le distanze dalla teoria del LAVORO IDEALE.


§ A volte ci dimentichiamo che una collaborazione virtuosa tra domanda e offerta di lavoro, è fatta di feedback. Tanto dal Lavoratore verso l’Azienda, quanto da questa sul Lavoratore. E quando quest’ultimo non si trova bene con l’Impresa che lo ha scelto, si assiste – è possibile! – all’inizio di una fine…

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A questo punto l’obiettivo di A. appare chiaro: cerca una spalla, certo, per ragionare a voce alta sulla sua nuova avventura professionale, così da comprendere meglio se sta investendo nella giusta direzione. Ma non le serve aiuto: è lei che mi sta dando il suo. Grazie alla sua testimonianza, ho l’occasione di comprendere meglio l’azienda che la ospita e renderle un miglior servizio.

Il mio “potenziale Cliente”, ricordi?


Il colloquio di A.

A. era stata pre-selezionata da un’altra società di selezione, a pochi giorni dallo scadere delle sue dimissioni. L’opportunità le era parsa abbastanza calzante su di lei: un pelino spinta sulla vendita, ma profilo consulenziale e settore erano in linea col suo percorso. E non volendo dire NO A PRIORI, A. aveva acconsentito a prendere parte alla selezione.

Esattamente il mio pensiero, quando avevo valutato di coinvolgerla per quella stessa posizione! Che il “mio cliente” avesse attivato anche altri canali di ricerca, in concorrenza con me, ci stava. Ma in questo caso partivo in svantaggio di almeno 2 o 3 settimane 😑

Ora. Che A. sia un talento, è evidente e innegabile. E lo dimostra anche in questa occasione: viene colloquiata e scelta seduta stante.

Mi racconta del suo colloquio conoscitivo con la titolare (la mia referente di selezione, ndr). È piuttosto breve ma gradevole, ricorda. Espliciti ma rapidi sono gli apprezzamenti sul suo Curriculum, in particolare sulle iniziative di marketing ideate e curate durante l’esperienza precedente. Anche alcuni strumenti di tracking commerciale con cui A. racconta di aver lavorato, pur nella loro semplicità, fanno breccia. E infine le strategie di comunicazione e immagine dell’azienda. “Qui, da noi, c’è ampio margine di manovra perché ammettiamo che siamo un po’ indietro – il sito web lo stiamo sistemando, non siamo attivi sui social, … –. Nel settore siamo riconosciuti ma vogliamo migliorare le vendite”, le viene detto.

Si congedano in 20 minuti, dato che la titolare ha sempre un occhio sull’orologio. Ma effettivamente solo due giorni dopo il loro primo (e unico) incontro, A. è nuovamente in azienda a firmare il suo contratto di assunzione.

Lì per lì è del tutto soddisfatta: fiera di essere stata scelta e non vede l’ora di rimettersi in gioco, in una società che sembra molto aperta al nuovo. E il fatto di riprendere a lavorare PRATICAMENTE DA SUBITO, le sembra davvero di ottimo auspicio: le dimissioni erano terminate solo 10 giorni prima, ed era già nuovamente alla scrivania!

Complimenti, non c’è che dire.

Stop alle riunioni per essere felici
Da La Nuvola del Corriere, 13 Aprile 2019

L’ingresso in azienda

A differenza del lavoro precedente, però – dove il “piacere di lavorare” si era logorato nel tempo e in conseguenza di alcuni cambiamenti –, stavolta i problemi iniziano subito.

E sono legati a questioni ambientali e relazionali “insane” che si fanno prontamente riconoscere: nella nuova azienda, nulla è come sembra dal di fuori.

Innanzitutto A. viene a sapere di alcuni episodi non-professionali (si tratterebbe di comportamenti scorretti e inadatti ad ambienti d’ufficio) che “sarebbero” accaduti tra la titolare e alcuni dipendenti. “Sarebbero” (sì, al condizionale), perché A. non ha assistito a quei fatti, per lei sono solo racconti. Tuttavia sembra non siano casi isolati. I suoi nuovi colleghi, guadagnando lei confidenza, glieli svelano un poco alla volta, chi con polemica, chi con timore di ripercussioni, che per sfogo.

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Ciò apre immediatamente un bel punto interrogativo intorno alle condizioni di lavoro.

E seguono alcune “infelici conferme”. Tra le regole di comportamento aziendale, alcune prassi “agitano” tutti i suoi colleghi – e un po’ anche lei, ammette, perché le trova d’altri tempi e poco funzionali al tipo di azienda: inflessibilità di orari (e tutto ciò che ruota intorno alle pause, o un ritardo, o la richiesta di un permesso, o l’organizzazione di una trasferta); mancanza di privacy nello svolgimento del lavoro (A. lancia il sasso e toglie la mano: non vuole dire di più su questo tema, perciò non riesco a inquadrarlo completamente…); fino al divieto di alzarsi dalla sedia se non è strettamente necessario (tipo… il bagno??? 😱).

“Ma che ci sei venuta a fare qui?!” è battuta frequente da parte dei suoi colleghi.

E di “anziani”, lavorativamente parlando, non ce n’è proprio molti. Dietro la grande crescita della società, intesa come nuove assunzioni, si cela in realtà anche un elevato turn over. È frutto di un malessere diffuso dal pessimo carattere e dallo stile autoritario della titolare, che nel tempo induce molti a lasciare.

A. è un po’ disorientata, è evidente; anche se sostiene di cercare di non farsi condizionare dal clima. Pensa che lo stare bene/male in un’azienda dipenda comunque dalle singole persone. Lei, essendo l’ultima arrivata, vuole essere fiduciosa.


Il gruppo commerciale&gli aspetti #positivi

Ma non tutto è male. A. esprime un grande entusiasmo intorno a tutti i suoi colleghi (di ogni ufficio e divisione), accoglienti e disponibili. In particolare quelli della funzione commerciale.

Il progetto aziendale di sviluppare le vendite con delle assunzioni mirate, è reale e altre 2 persone sono state assunte poco prima di lei con questo scopo; e una quarta è arrivata poche settimane dopo.

Non tra i “validi Candidati” da me segnalati, evidentemente! Penso tra me e me… ndr 😞.

E di fatto, con tutti e tra tutti, si è creato da subito un buon feeling: obiettivi comuni, formazione condivisa, scambio continuo di informazioni, collaborazione. Insieme hanno anche organizzato il lavoro, bypassando la mancanza di specifiche da parte della direzione.

Ma anche loro, dello staff commerciale, vivono la difficoltà di relazionarsi con la titolare. La quale è il riporto diretto (perché in azienda è lei la referente per le vendite; e della loro assunzione). C’è da fare i conti con modi autoritari (della serie “pensatela come volete ma alla fine decido io”), la scarsa disponibilità al confronto e all’ascolto (con delega sistematica dei “problemi”), la gelosia sui contatti persino. Ed è così per tutti, indipendentemente dallo stile di relazione di ciascuno.
A. dice di aver scelto una relazione minimale con la titolare, solo per aggiornarla e del tipo… “c’è questo tema: io farei così, tu cosa mi consigli?”. Ma le occasioni di approfondire una questione sono attimi fuggenti e sgarbati.


Momenti difficili 😶

La titolare è sgarbata, sì, anche coi Clienti talvolta. A tal proposito A. mi racconta un episodio su tutti, che ha vissuto personalmente e che l’ha molto intristita.

Durante le prime settimane, A. era affiancata dalla titolare per approfondire lo stile di visita ai clienti e gli argomenti commerciali, com’era avvenuto per tutti i nuovi agenti. Era A. a individuare i papabili contatti (approfittando anche di referenze passate), ma agli appuntamenti andavano insieme.

Ebbene proprio di fronte a un cliente che conosceva già A., seppur per motivi diversi, e che in questa occasione aveva manifestato scetticismo sui loro servizi ma disponibilità a parlarne, proprio grazie alla fiducia in A. –, accade che la titolare abbandona la sedia dopo appena 5 minuti, uscendo senza salutare né motivare, salvo dire, quando è già sulla porta, che è offesa da quella diffidenza e che nessuno ha tempo da perdere. A., sola e imbarazzata, si congeda a sua volta, perché “evidentemente non ha senso continuare” (le appunta il cliente stesso).

Una volta uscita, A. constata di essere stata “abbandonata”: la titolare se n’è proprio andata! Non c’è l’auto, nessun messaggio, né risposta telefonica da parte sua. Una fugace spiegazione al decimo tentativo di telefonata e poi, nel pomeriggio, in riunione coi colleghi d’ufficio, una versione sorprendente dell’accaduto… Dice davanti a tutti che … clienti così spocchiosi non interessano, che l’errore era stato insistere su quell’incontro e che A. avrebbe dovuto sostenere il suo capo, alzandosi e uscendo insieme a lei.

Ma:
  • la visita commerciale l’avevano preparata insieme;
  • e nulla che il cliente avesse detto in 5 minuti (stava appena presentando la sua attività) poteva giustificare una tale reazione…

A. ancor oggi a distanza di mesi, appare turbata e sfiduciata da quell’episodio. Non si sente un “guru” della vendita, ma crede che le relazioni commerciali debbano prevedere rispetto e flessibilità. E invece ciò a cui ha assistito per lei è la prova che la sua titolare è assolutamente anti-commerciale.

Può accadere che un incontro di vendita si concluda con un nulla di fatto. E a volte, di fronte a posizioni diverse, è giusto non cedere e alzarsi dal tavolo della trattativa. Il che tuttavia deve scaturire dall’ascolto, dal contraddittorio e non da pregiudizi.

“Sto forse sbagliando? Perché se questo tipo di relazioni commerciali è accettabile, beh, NON rientrano nel mio stile!”, conclude A.

Tutto ciò accadeva un paio di mesi dopo l’assunzione. Ma anche nelle settimane successive, A. assiste a sfuriate negli uffici, telefonate con clienti “ostili” mandati scenograficamente a quel paese; o altri episodi che coinvolgono stavolta dei suoi colleghi, messi platealmente in imbarazzo di fronte ai clienti.

Aiuto! Ma come si può lavorare così? Penso io… 😱


Si può essere felici sul lavoro? I primi passi da fare – Da La 27esima Ora del Corriere, 7 Marzo 2018

“Abbiamo un piano?”

Clima teso e difficoltà relazionali non esauriscono i problemi.

A. dice: siamo lì per fare uno sviluppo commerciale ma manca un piano d’azione. E a dimostrazione di ciò, ogni nuova attività proposta (lo sviluppo di un’immagine social aziendale, eventi o convenzioni, l’acquisto di strumenti, …) viene sistematicamente bocciata. Costa, e/o distoglie da quello che secondo i titolari è l’incarico dei “commerciali”: portare clienti nuovi. Sì, ma dovremmo provare ad essere più attrattivi, più efficienti, diversi…

Mi inserisco nel racconto e le butto là che ho notizia che un consulente organizzativo sta supportando l’azienda in questa trasformazione commerciale.

A. mi guarda perplessa, ci pensa un attimo e poi mi dice che non sa nulla di questa figura. Nel corso dei mesi ha visto transitare diverse persone, ora un cliente, ora il tecnico informatico, ora una meteora in stage, ora un agente di commercio – sì, perché in parallelo alla sua assunzione, l’azienda sta cercando anche degli agenti a partita iva, ma se le figure convivranno o no, non è dato sapere! E anche questo rafforza il dubbio che non ci sia una chiara visione di cosa fare, né un planning. Solo riunioni infinite basate su “quanti clienti porti questa settimana?” e le conseguenti sfuriate della responsabile se un contratto tarda ad arrivare.

Come se in un settore così tecnico (dove fornisci una consulenza di nicchia) e ricco di concorrenza (tanti gli studi, i professionisti, i freelance e le società come la loro, …), fosse così facile scovare potenziali clienti NUOVI che ti firmano il mandato senza discutere…

Davvero non sembra facile lavorare in quelle condizioni:
  • niente database, niente storico sui clienti. Ok; ma può essere tutto affidato alla memoria dei titolari?
  • policy prezzi poco attrattiva rispetto al mercato, e MAI trattabile. Non tutti i clienti accettano il “o così, o niente” e molte proposte commerciali vanno disperse;
  • non c’è metodo né voglia di cambiare. Si parte con: “I commerciali siete voi, mi dovete portare voi idee e risultati”. Ma quando l’idea effettivamente gliela dai, si finisce a: “se fate tutto quello che volete voi, e tutti insieme, non riesco a capire chi è bravo e chi no” (!); oppure “costa troppo”; o “ci abbiamo già provato e non serve a niente”; oppure “devo rimborsarvi troppi pranzi e troppi chilometri” 😒😑.
  • sulla cura di un’immagine, nulla ancora è stato fatto. L’azienda è molto sicura di sé che non ritiene necessario fare alcunché di innovativo per comunicarlo. Cioè nulla, se comporta un investimento (di denaro o tempo). E ad ogni modo, le pubbliche relazioni sono prerogativa della titolare, gelosa dei suoi contatti che, talvolta, nemmeno rivela;
  • A. e i commerciali devono agire SOLO sui clienti NUOVI. Mentre i clienti acquisiti vengono debolmente fidelizzati da azioni di routine di segreteria. Il risultato è una lunga lista di ex clienti, abbandonati e a tendere perduti.

Alcune sono scelte aziendali indiscutibili. Altre invece sembrano il risultato di quel clima di non-confronto che tanto disturba A.

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Ci rifletto su anch’io.

Penso allo scenario descritto da A. (la fonte è attendibile!), e col beneficio d’inventario sulle questioni “caratteriali” cerco di figurarmi la vita dentro le mura di quell’azienda (il mio cliente).

Stando così le cose non riesco a non pensare che quest’impresa rappresenti una bolla professionale. Di quelle che vivono di rendita rispetto a un passato glorioso, che magari hanno anche un’ottima reputazione, ma che non evolvono né riescono a sfruttare il proprio potenziale.
Se la strategia è: “vogliamo crescere”, stop, senza alcuna vera pianific/azione organizzata, e se allo stesso tempo si resta aggrappati al passato (anche come approccio al lavoro e nella gestione dei collaboratori), è chiaro che il mercato non ti ripaga, risultati alla mano.

Per non parlare di quella certa “avarizia” gestionale, emersa appena tra le righe ma… che c’è (e che prosegue fino al tema delle retribuzioni). Di questo A. non parla mai, ma so che lei – ultima arrivata – ha condizioni contrattuali peggiori rispetto ai suoi pari, nonostante in principio sembrassero “ideali”. Cosa è successo? Nel recente turn over, l’azienda ha optato per applicare agli ultimi assunti, delle forme contrattuali inferiori/più instabili, determinando squilibri e scontenti tra colleghi. E questa è cosa appurata, purtroppo.

Basandomi sul quadro generale mi chiedo: questa è un’azienda che merita di stare ancora sul mercato? Se i risultati la premiassero, direi che… sì, lo stile può non piacere ma se è efficace, e se da qualche parte c’è un lavoratore con il giusto carattere e gli stessi atteggiamenti (della serie “CHI SI SOMIGLIA SI PIGLIA”, anche sul #Lavoro!), allora quest’impresa ha un suo equilibrio.

Ma dato che i numeri non mentono, mi rispondo che se fossi al posto di A., forse io…


Dimentico per un secondo che davanti a me c’è una persona che questa situazione la sta vivendo realmente e che a breve sarà chiamata a una decisione importante sul suo futuro…

Ma è solo un attimo. Torno sulla Terra. Torno da A..

Lei vuole far chiarezza sul suo status lavorativo e il suo destino. Si appresta a decisioni importanti, dato che il contratto di 6 mesi sta per terminare. Ancora non sa le intenzioni del suo datore di lavoro ma sente di avere lei stessa voce in capitolo. E il suo racconto “liberatorio” le serve per spacchettare ciò che ora ha tra le mani: lavoro, opportunità, progettualità, sviluppo personale e professionale, relazioni, risultati, ambiente&clima aziendale, valore.

A. si chiede cosa sia meglio per lei.

Da una parte c’è un’azienda salda.

C’è un mercato dinamico e interessante (anche a suo parere). E poi c’è una gestione con alcuni tratti distintivi. Essi sono legati al modo d’essere delle persone “proprietarie”: rigore o rigidità? Tradizione o scarsa propensione al nuovo?… Impone comunque le sue regole e modalità.
Tutto ciò difficilmente potrà cambiare nel tempo, salvo imprevisti. O scelte manageriali che però non sembra possano essere immediate (data l’ “allergia” a eventuali investimenti).

Dall’altra parte ci sei tu, A.

C’è la tua storia (che non deve “condizionare” le future decisioni, ma al contrario porre le basi per la ricerca del tuo mondo lavorativo ideale…). C’è l’esigenza di un impiego stabile secondo un progetto di lungo periodo; relazioni in costruzione (anche e soprattutto con la proprietà), e un modo di essere/lavorare che deve riflettere i canoni dell’azienda, o non ci sarà futuro, né crescita né serenità.

Ancora una volta metti tutto sui piatti di una bilancia, e pensa a ciò che hai e a ciò che perderesti. Nel lungo periodo potresti integrarti con tutto ciò che hai raccontato? E quegli eventi, che peso hanno sulla tua stabilità e produttività?


È passato qualche tempo…

Tra poco rivedrò A. Ci ha riflettuto, su tutto. Vuole informarmi di come si sta preparando alla scadenza contrattuale.

Io, dopo aver indossato i suoi occhi durante il suo racconto, è da un po’ che guardo il mio “potenziale cliente” con un certo scetticismo. Fino ad ora mi ha solo fatto perdere un bel po’ di tempo, per parafrasarlo

Per un consulente in Recruiting e Risorse Umane è fondamentale saper valutare in maniera “oggettiva” – in involucro e sostanza -, ogni azienda potenziale cliente (così come ogni potenziale Candidato). Ma per quanto credo che da qualche parte possa esistere un “Candidato adatto a ogni Azienda” – e che il match è solo questione di feeling – ammetto che, questa azienda, non so se ho voglia di insistere nel volerla accontentare.


NDR. Storia di A. è la storia vera di una persona vera, di cui io sono stata testimone. Se te lo stai chiedendo, però, ci tengo ad appropriarmi dell’enfasi del racconto. Per esigenze di copione. Ma anche per rendere meglio l’idea di ciò che si può vivere quando si cerca il LAVORO IDEALE. A., diversamente, è stata molto “rispettosa” dei suoi datori di lavoro, mai eccessiva, mai inopportuna, mai giudicante.  


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Storia di A. : quando ambiente e clima rovinano un LAVORO IDEALE
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Storia di A. : quando ambiente e clima rovinano un LAVORO IDEALE
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Cercare (e trovare!) #Lavoro può essere un'esperienza estenuante. E ci risiamo, con A. Alle spalle ha già una #delusione lavorativa. Aveva quel #LAVORO #IDEALE che l'aveva "illusa" che potesse essere per sempre; e invece a un certo punto le resta indigesto e si sente espulsa. Si ricolloca subito: guadagna una nuova #opportunità in un contesto completamente diverso. Anche qui tutto sembra di ottimo auspicio ma... Appena mette piede in #azienda scopre che NON riesce a convivere con "questioni #ambientali e #organizzative". Per lei è impossibile adattarsi a certi meccanismi negativi che non vanno giù nemmeno ai suoi colleghi più #anziani! Storia di A.: "this is the End"!(?)
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